UNO E TRINO

 

Il fallimento degli "stati generali della sinistra"che avrebbe dovuto portare alla nascita della cosiddetta "cosa due" si accompagna alla crisi di un progetto parallelo: quello di costituzione di un sindacato unico che riunisca CGIL.-CISL.-UIL. Questo progetto aveva già forti difficoltà di realizzazione poiché molte sono le forze che vi si oppongono all’interno dei vari sindacati. La Confederazione meno numerosa, la UIL teme di soccombere e scomparire con le sue burocrazie stritolate da CGIL e CISL poiché l’unificazione comporterebbe inevitabile e drastica riduzioni degli apparati sindacali. La CISL è divisa fra una parte che vuole mantenere libertà di azione in attesa della ridefinizione è di una nuova dislocazione politica delle componenti dell’ex DC e perciò non vuole precostituire il futuro legandosi indissolubilmente alla coalizione dell’ulivo. L’altra parte della CISL appoggia il processo unitario a condizione di guidarlo attraverso i propri quadri dirigenti.

Ancora più divisa se possibile la CGIL dove si contrappongono varie anime. I favorevoli all’unificazione trovano l’opposizione di una parte del PDS che non vuole pagare il prezzo della leader-ship della CISL e si sente sicura solo a condizione di avere saldamente in mano il processo di unificazione. Certamente contraria la componente di Alternativa sindacale che tuttavia soffre di una totale assenza di visibilità. Sulla carta contraria la "componente comunista" strettamente legata al PRC, ma forse possibilista di fronte all’assicurazione di mantenere quote di rappresentanza...

Non vi è dubbio che l’unificazione sindacale creerebbe notevoli problemi sia agli appartenenti ad alternativa sindacale che alla base della componente comunista spingendole ai margini dell’organizzazione e aprendo la strada alla formazione di un nuovo sindacato. Purtroppo però la frammentazione dei sindacati alternativi e di base non offre un punto di riferimento unitario, almeno nell’immediato capace di riaggregare questa forze. La composizione spesso fortemente ideologizzata di queste organizzazioni, l’abitudine a ripercorrere pratiche e comportamenti spesso simili a quelli della CGIL fa si che da un lato il sindacalismo di base non svolga quella funzione aggregante che vorrebbe svolgere e non convinca militanti e quadri intermedi del sindacato confederale assicurando il superamento di quelle pratiche fortemente criticate sopratutto nella destinazione dei processi decisionali e nella pratica sindacale che caratterizzano oggi la CGIL.

A bilanciare l’assenza della prospettiva politica dell’unificazione ha provveduto il Governo con il recente decreto Bassanini sulle rappresentanze sindacali nel pubblico impiego. Con questo provvedimento sono stati modificati profondamente alcuni aspetti del Decreto legislativo n. 29/93 con il quale era stato completamente modificato il rapporto di pubblico impiego. A cambiare sono la natura e le funzioni dell’ARAN (l’organismo che rappresenta la parte pubblica nella contrattazione) e le modalità di composizione della rappresentanza sindacale che partecipa alle trattative per i rinnovi contrattuali e per la contrattazione. Per comprendere le modifiche introdotte bisogna ricordare che:

Diminuiscono i controlli delle Corte dei Conti sulla spesa ma comunque il Governo si riserva l’ultima parola sui contratti stipulati. Questa struttura contrattuale, sommariamente descritta, ha funzionato negli ultimi 4 anni con notevoli danni per i lavoratori in quanto non c’è certezza di veder attuati i contratti firmati e inoltre il governo può allungare i tempi dei rinnovi contrattuali e modificare di fatto gli accordi sottoscritti.

Un ulteriore problema è costituito dalla rappresentanza sindacale rispetto alla quale non sono chiari i criteri per la sua individuazione. Questa situazione di incertezza è cresciuta dopo i referendum su alcune norme relative alla rappresentanza sindacale del 1995 che hanno dimostrato come sia profonda la necessità di una partecipazione democratica dei lavoratori alle trattative.

Il decreto modifica la situazione esistente in modo unilaterale (decisione del Governo) senza che sia stata approvata la nuova legge sulla rappresentanza sindacale da tempo in discussione. Per definire i contenuti del decreto ci sono stati numerosi incontri tra il Governo e CGIL-CISL e UIL che di fatto hanno concertato il testo del provvedimento.

E’ stata modificata la natura stessa dell’ARAN. Da ora in poi il governo assegna un budget di spesa per i singoli settori, ma le istruzioni per la trattativa vengono dati all’ARAN dagli enti che via via essa rappresenta. Ad esempio: per il contratto degli ospedalieri dalle Regioni competenti in questa materia, per gli impiegati dei comuni dall’associazione dei comuni, ecc. oltre che dai ministri via via interessati.

Alle risorse messe a disposizione dal Governo possono essere aggiunte quelle derivanti da risparmi di spesa, razionalizzazione del funzionamento, rapporti con privati, tasse pagate dagli utenti dei vari servizi, ecc. In tal modo il maggior costo dei contratti non si riversa sul bilancio dello Stato. E’ stata modificata la natura e la composizione della rappresentanza sindacale, decidendo che per firmare un contratto i sindacati che partecipano alle trattative devono nel loro insieme avere o il 51% della rappresentanza dei lavoratori sindacalizzati di ogni singolo settore desumibile dalle deleghe sottoscritte (in Italia il 40-45 % dei lavoratori del pubblico impiego è iscritto a un sindacato) oppure raccogliere il consenso del 60% dei lavoratori. Da ciò consegue che per firmare il contratto basta avere come iscritti meno del 25% della categoria.

Un sindacato per sedere al tavolo della trattativa deve avere almeno il 5% dei lavoratori della categoria come iscritti (solo per il prossimo anno, in via transitoria la percentuale scende al 4% degli iscritti dichiarati nel 1996) oppure deve aver raccolto almeno il 5 % nell’elezione dei rappresentanti sindacali. Le rappresentanze sindacali aziendali previste dalla L. 300/70, meglio conosciuta come "Statuto dei lavoratori", vengono modificate e vengono previste le elezioni entro il 1998 in tutti i comparti delle Rappresentanze Sindacali Aziendali. Questi organismi divengono titolari della contrattazione e alla elezione possono partecipare quei sindacati che accettano il regolamento di funzionamento predisposto da CGIL, CISL e UIL e che raccolgono il 3% delle firme degli aventi diritto al voto sulla loro lista nelle strutture fino a 2.000 dipendenti. La percentuale scende al 2% in quelle più grandi.

Gli eletti in questi organismi godono dei diritti sindacali (permessi, sedi ecc.) e conducono il negoziato che deve essere sottoposto all’approvazione dei lavoratori per avere efficacia.

Il voto è segreto, l’elezione avviene con metodo proporzionale e la durata dell’organismo di rappresentanza deve essere periodica e non è prorogabile. Rappresentanti delle organizzazioni sindacali possono essere ammessi nelle delegazioni di trattativa. Il provvedimento riguarda comunque solo i lavoratori del settore pubblico. C’è l’impegno di CGIL, CISL e UIL a non firmare contratti separati in modo da allargare la rappresentanza. Se il provvedimento impone ai piccoli sindacati un minimo di accordo e di coordinamento perché ad esempio, per partecipare alle elezioni delle Rappresentanze occorre quella percentuale del 3% che può essere raggiunta spesso grazie ad un accordo, costringe i confederali a cercare un accordo organico in modo da poter assicurare il consenso e la rappresentanza del 51% dei lavoratori.

Come via burocratica all’unità sindacale non c’è male!

Quale dunque la strada da percorrere?

Probabilmente la via migliore da seguire è quella del dialogo tra le varie voci sindacali, che rafforzi il potere di contrattazione dei lavoratori, ma nello stesso tempo dia spazio a tutte le correnti di pensiero . Insieme si può e si deve costruire un sindacato che abbia credibilità e forza agli occhi dei lavoratori, da troppo tempo alla ricerca di un qualcosa che li rappresenti e li difenda dalle prepotenze legislativo-burocratiche di cui il D.L 29/93 è il più fulgido degli esempi e dalla mal celata arroganza di alcuni pseudo-sindacati.

Rocco Petrone

Da Alternativa Libertaria, giugno 1998