MORIREMO DEMOCRISTIANI

 

Una buona fetta dell’elettorato italiano è stato chiamato alle urne lo scorso 24 maggio, oltre un quarto. Molte sono state le interpretazioni del responso, ma dati ne sono circolati pochi. Una prima difficoltà è, certamente, rappresentata dalla natura amministrativa della tornata elettorale. Una difficoltà non minore dipende dal fatto che in molti piccoli comuni si vota su aggregazioni di liste, che rendono non confrontabile il dato con quello delle elezioni nazionali. Anche i vari meccanismi adottati sull’onda dell’introduzione del sistema maggioritario, vero sforzo di fantasia, complicano la vita di chi voglia il reale andamento della consultazione. Ma poiché gli effetti politici non si sono fatti attendere e sono stati abbastanza rilevanti si impone il tentativo di abbozzare un’analisi.Il dato delle varie province, aggregato e confrontato con l’analogo risultato di quattro anni fa, sembra quello più indicativo. Vediamolo. I democratici di sinistra nel 1998 prendono il 14,2% (nel 1994 il PDS era al 15,6%); Forza Italia passa dal 19% nel 1994 al 13,1%nel 1998; Alleanza Nazionale scende dal 14,2% del 1995 all’11,5% quest’anno; il Partito della Rifondazione Comunista resta pressoché stabile, passando dal 4,7% al 5% (perdendo comunque qualcosa rispetto alle politiche del 1996). La vera sorpresa sono il Partito Popolare Italiano che raggiunge quasi il 10% e il CDU di Rocco Buttiglione, che, assieme al CDR di Mastella e all’UDR di Cossiga, arriva al 10,6%.

La prima considerazione che si po’ fare riguarda la sinistra sedicente democratica, che nonostante la strategia di ampliamento perseguita con la Cosa Due, cala visibilmente; ben poco apporto elettorale devono quindi aver fornito le schegge recuperate in un’operazione che era stata propagandata come un grandioso traguardo unitario per la sinistra moderata e moderna.

La seconda considerazione spontanea riguarda l’autodefinitosi Polo delle libertà (forse dai guai giudiziari del suo leader); la perdita è secca e molto consistente, in particolare per Forza Italia, che non solo non è più il primo partito nelle aree interessate, ma perde addirittura circa il 30% del proprio elettorato. Alleanza Nazionale, poi, in aree di tradizionale forza, si riduce alle dimensione della neonata confederazione centrista.

Per tutte questi partiti non appare illegittimo pensare che stiano pagando la scelta dell’accordo per le riforme, che li ha visti sedere con troppo reciproco affetto seduti accanto nello stesso tavolo, sfumando così agli occhi degli elettori il pur dichiarato antagonismo. Non è quindi un caso se proprio questo tavolo è stato il primo a saltare subito dopo i risultati elettorali.

Il Prc paga la propria conflittualità interna, l’indecisione tra partito-istituzione e partito-movimento, il sostanziale appoggio ad un governo non certo in contro tendenze alle linee economiche neoliberiste dominanti; beneficia comunque del fatto di rappresentare l’ultima spiaggia per un’opposizione che si voglia esprimere col voto, pur se le parole sempre più risultano evanescenti e prive di conseguenze.La grossa novità però è la straordinaria crescita del centro, sia dell’uno che dell’altro schieramento, sia infine di quello a cavallo tra i due. Tale crescita è confermata dai risultati sorprendentemente positivi di Rinnovamento Italiano e dei ricostituiti socialisti di Boselli. I buoni risultati dei centristi dell’Ulivo potrebbero si rappresentare un premio per una linea di politica economica, più temperata di quella intransigente diessina (che assomiglia molto a diossina), ma ciò non renderebbe conto dello strabiliante risultati degli altri centristi. Il fatto è che l’elettorato moderato, ben radicato nella maggioranza delle zone in cui si è votato domenica 24 maggio, non ha mai realmente cambiato bandiera: rifugiatosi sotto quelle di Forza Italia, ora che questa sembra non poter più garantire l’assetto di potere sociale al posto della defunta Democrazia Cristiana, come aveva dato ad intendere di poter fare, ritorna ai vecchi amori. Si dimostra cioè che il vecchio CAF, non solo non era scomparso nella temperie di tangentopoli, rintanandosi nelle nuove forze politiche, ma neppure era morto nei settori di società che esso rappresentava e tutelava. E questo anche perché il cavaliere nel suo affanno giudiziario, appare declinante e non più onnipotente come quattro anni fa.

Ne discende che anche le spiccate propensioni centriste di D'Alema e persino il volto del tutto incapace di qualsiasi durezza rivoluzionaria del mite Veltroni non rassicureranno mai l’elettorato di centro; col che frana tutta la strategia di sfondamento su cui si è imperniata la politica in questi ultimi anni il partito della sinistra storica. I figli bastardi della terza internazionale non arriveranno al potere blandendo i moderati e per quanto siano intimamente connaturati al sistema del mercato e godano la fiducia dell’apparato imprenditoriale e finanziario, non ispirano la necessaria fiducia al pavido piccolo borghese italiano. Questi continua a cercarsi referenti politici che gli siano più congeniali e li trova dove li ha sempre trovati, a meno che una forte temperie strutturale e culturale non lo scuota dalle certezze dei propri falsi privilegi.

Se così è, forse non eviteremo di morire democristiani.

Saverio Craparo

Da Alternativa Libertaria, giugno 1998