GARRISCONO AL VENTO

 

 

L’Ulivo governa ormai da due anni. Può fregiarsi di due importanti risultati: averci portato alle soglie di Maastricht, cosicché l’Italia entrerà, Germania permettendo, nell’UE; aver garantito che d’ora in poi, tutti i giorni, i pubblici edifici espongano la bandiera nazionale e quella europea. Sarebbe da disfattisti soffermarsi sul carico di sacrifici, sulle rinunce (ovviamente di beni puramente voluttuari) che il primo obiettivo è costato, e continuerà a costare, a TUTTI gli italiani. È il secondo che, a ragione, può inorgoglire il nostro spirito notoriamente patriottardo.

L’esposizione permanente del tricolore e del drappo stellato azzurro costituiscono, con tutta evidenza, una così convincente riaffermazione del nostro orgoglio nazionale di italiani e di europei, da far passare in secondo piano le rocambolesche evoluzioni di aerei alleati sul nostro sacro territorio (di poeti, etc.): e non è certo un problema se i discoli piloti subiranno le giuste reprimende, che la loro condotta sbarazzina rende necessarie, dai loro diretti superiori, invece che da un’autorità estranea, di cui sconoscono persino l’idioma.

D’altronde il demosinistro sottosegretario alla Difesa Brutti (absit iniura verbis) ha con orgogliosa sicurezza affermato che il territorio nazionale è sotto il totale controllo del Governo nazionale; tant’è che gli alleati possono sì utilizzare le loro basi per le loro gite fuori Golfo, ma solo se il nostro governo glielo consentirà: ovviamente qualora gli chiedano il consenso e non se ne dimentichino nella fretta di sottrarre il loro Presidente da alcune imbarazzanti situazioni.

È così che, rassicurato internamente sul ristabilito orgoglio nazionale e sulla base di un’intramontata identità culturale, il nostro prode Presidente del Consiglio se la rideva al vertice di Bruxelles al varo ufficiale dell’Euro, con l’aria giuliva del turista di passaggio, quando altri undici capi di governo, scuri in volto, discutevano animatamente dei futuri assetti di potere dell’Europa unita (?). L’importante, infatti, è essere in Europa con tutti i nostri primati di paese che ha riaffermato la propria serietà: il costo del lavoro per unità di prodotto più basso, il numero di incidenti mortali sul lavoro più alto, la pressione fiscale più elevata, il mondo imprenditoriale più assistito dallo Stato, etc. Ma anche con i nostri ricordi gloriosi, ma vetusti: il partito comunista più grande d’Europa, il movimento operaio più antagonista del mondo, il sindacato più di classe dei paesi occidentali, etc.

È però ingiusto non ricordare che l’Italia la propria fetta di potere nel vertice bancario di Francoforte l’ha pure ottenuta e non irrilevante. Ma l’eurocrate Padoa Schioppa ha più l’aria di chi deve garantire la correttezza dell’applicazione del verbo liberista nel nostro paese, che di rappresentante di un interesse nazionale. Era il candidato dei tedeschi e certi connazionali hanno cercato di giubilarlo. La vicenda è di quelle illuminanti. Il nostro è il più nobile rampollo della corrente laica della Banca centrale. L’ala cattolica (Fazio) ne teme il rigore monetarista.

È nei fatti che l’etica economica neoliberista trova oggi i suoi più rigorosi sostenitori negli eredi di quella che una definizione ardimentosa chiamava sinistra storica: lo stesso Duinsberg è un ex sindacalista socialdemocratico. Come stupirsene se ci sono rappresentanti dei discendenti della terza internazionale che trovano persino troppo progressista la vecchia internazionale socialista?

Forse siamo inguaribilmente non al passo con i tempi, se continuiamo a pensare che parole come solidarietà, equità, giustizia sociale abbiano dei significati e non siano formule da premettere ad ogni discorso (che solo per contenerle diviene inequivocabilmente di sinistra) i cui contenuti reali siano quelli di accentuare la diseguaglianza, l’emarginazione, la povertà. Gli esempi potrebbero sprecarsi; uno basti per tutti. La Regione Sicilia invita in uno spot pubblicitario gli imprenditori ad investire sul proprio territorio, allettandoli con la promessa che il costo del lavoro è ivi inferiore del 35% rispetto allo standard nazionale: il sindacato che dovrebbe combattere il lavoro nero fornendo a tutti i lavoratori identiche garanzie sociali, con gli accordi sulle aree di crisi lo legalizza, come se la sua natura giuridica ne rendesse meno drammatico il contenuto di esasperato sfruttamento, basato sul ricatto della disoccupazione. Questo si chiama, nel gergo della sinistra moderna, lotta alla disoccupazione.

Poco c’è da aggiungere sulla sinistra vetero, che scambia piccole fette di gestione con le battaglie di principio, enunciate e mai combattute; per ogni ceto politico la prima esigenza è quella della propria sopravvivenza. Come spiegare altrimenti l’appoggio ad un governo (anch’esso di sinistra solo nella mente di Berlusconi), che ha aumentato in un anno del 2,3% la già elevata pressione fiscale, senza un solo intervento reale sull’evasione (in Germania è diminuita dello 0,4%).

Irragionevolezza non è, quindi, credere, operare e lottare per un mondo diverso in cui i rapporti tra gli esseri umani siano improntati al reciproco rispetto, anche se questo mondo appare al momento sempre più lontano dall’immaginario dei più; irragionevolezza è credere alle parole di coloro che ci chiedono la fiducia su proposte che poi stravolgeranno in nome di un approccio "ragionevole" alle "ragioni" del mercato globale.

 

Da Alternativa Libertaria, giugno 1998