FULL MONTY

 

Sheffield 25 anni fa: la città prospera grazie alle industrie siderurgiche, la ricchezza e il benessere sembrano abbracciare l’intera popolazione.

Sheffield oggi : due decenni di politica liberista hanno lasciato solo degrado e disoccupazione per la maggioranza dei cittadini.

Un gruppo di ex operai, disoccupati ormai da molto tempo, decidono di mettere su uno spettacolo di spogliarello per guadagnare qualche soldo.

Un film ben confezionato, a partire dall’ormai più che collaudato cast di attori (quelli dei film di Loach, per intendersi), per finire all’ormai attestato tema trattato dai giovani registi indipendenti inglesi: la disoccupazione.

Questo delicato tema, fortunatamente, viene analizzato nella sua complessità (al contrario di come si usa fare in Italia) ; si capisce bene dalle scene che la disoccupazione è un virus endemico della società liberista (Grazie Signora Thatcher) e che per stroncarlo occorre conoscere ed eliminare le cause che lo hanno generato, non prendere delle pillole per il mal di testa.

Però si nota una certa rassegnazione nel convivere con questo tipo di società. Convivere ma non accettare: nessuno dei personaggi maschili accetta un lavoro senza alcuna garanzia in cui si viene sfruttati e pagati una miseria.

Le donne nel film sembrano invece aver accettato pragmaticamente l’idea di vivere in una società diseguale. Anche se è non piacevole, per mangiare occorre adeguarsi ad accettare quei lavori che la società decide per te, poiché questo è il migliore dei mondi possibile. Tristi scene quelle in cui Cattaneo mostra lo spettacolo di spogliarello maschile con le donne urlanti al seguito oppure la ex moglie del protagonista che tenta di convincerlo ad accettare il lavoro di guardia al supermercato per 2 sterline l’ora.

La forza del film sta comunque nella eterogenea composizione del gruppo di amici: c’è il padre che per non vedersi sottrarre il figlio decide di allestire lo spettacolo di spogliarello (perché è un modo per guadagnare senza essere sfruttati? ma la logica dello spogliarello non è mercificatoria come lo sfruttamento?), c’è quello che tenta di uccidersi perché non ce la fa più, c’è l’ex direttore di reparto della stessa fabbrica licenziato perché troppo obsoleto (la disoccupazione ha colpito la classe dirigente?) ma non ha il coraggio di dirlo alla moglie, c’è il grassone depresso perché senza lavoro, si sente inadeguato, non si stima e sente crescere il divario con la moglie che lo mantiene, c’è il vecchietto troppo anziano per trovare lavoro ma che sa ballare divinamente.

Si nota inoltre il divario enorme fra le case, gli ambienti della gente ricca e benestante e i luoghi che frequentano i nostri eroi: fabbriche crollate, localacci di periferia, abitazioni disfatte e prive di riscaldamento. La forbice si sta allargando.

Comunque l’elemento che più mi ha colpito in questo film è l’estrema solidarietà fra i disoccupati, sono amici veri, si aiutano l’un l’altro con affetto, senza invidie né concorrenzialità. Vogliono essere trattati da esseri umani, è un loro diritto. Sono uniti.

Unità nella rassegnazione sembra essere la realtà inglese che ci comunica questo giovane regista. Anche se l’unione che lega i personaggi è ciò che dà loro la forza per non sottomettersi del tutto alle regole che li bolla come merce indesiderabile da spedire il più lontano possibile dalla vista delle persone cosiddette perbene.

Disoccupati di tutto il mondo unitevi.

Una lode al regista per il tema trattato (anche se a volte è poco sviluppato) con garbo e umanità. Un cinema come veicolo d’informazione su di una realtà (non è finzione) extra-nazionale che ci riguarda tutti da vicino.

Lorenzo Mucchi

Da Alternativa Libertaria, giugno 1998