Ciclo, biciclo, triciclo: tutti in canna

 

Molto è stato detto e scritto sul documento di Riordino dei cicli scolastici presentato dal Ministero della Pubblica Istruzione sotto l'egida del Ministro Berlinguer. In questa sede, invece di analizzare le cose che nel documento sono scritte, sottolineerò le assenze, perché appaiono molto significative.

Per prima cosa manca una valutazione seria dell'esistente. È ben vero che qualcuno, non moto bene informato per altro, potrebbe sostenere che gli è tutto sbagliato, tutto da rifare! Sarebbe comunque subito contraddetto dal documento stesso che in più parti afferma che "sarebbe per altro inutilmente pessimista ritenere che l'Italia sia all'anno zero", e di questo si dà tra l'altro merito al lavoro innovativo e di sperimentazione svolto in questi anno dai professionisti della formazione (gli insegnanti), pur in assenza di adeguati riconoscimenti sociali. Il problema è che, al di là di queste generiche osservazioni il nuovo impianto della scuola del terzo millennio, non parte come sarebbe doveroso da un un'analisi puntuale dei pregi e dei difetti dell'attuale vetusta struttura, per correggerne gli errori o cambiarla radicalmente.

La proposta è lì, tutta intera e sembra discendere più da un'imitazione peggiorativa di quanto fatto (molto spesso malamente) in altri paesi europei, che da un'analisi degli obiettivi formativi, delle metodologie di insegnamento e dei processi di apprendimento. Ma la carenza diviene particolarmente vistosa nel caso della scuola primaria. La scuola elementare italiana è stata riformata nel 1990 e solo da tre anni si possono cominciare a valutarne i risultati (un campione statistico minimo, ma abbastanza significativo). Tra l'altro questo segmento dell'apparato formativo gode nelle rilevazioni internazionali di ottime performance e spesso è oggetto di studio. Non è corretto liquidarlo senza una disanima accurata, anche in considerazione della estrema giovinezza della nuova struttura e dello sforzo di dibattito e legislativo che essa ha comportato.

Eppure esso è quello più drasticamente revisionato nella bozza di documento ministeriale, riducendosi da cinque a quattro anni. Esiste è vero un altro documento ministeriale che tenta una prima analisi dei risultati, ma non è chiaro a tutt'oggi quanto esso influirà sull'iter della riforma complessiva e se il giudizio positivo su di esso espresso riuscirà ad apportare modifiche di sostanza. Certo è che, per un imperdonabile refuso si dice, un non trascurabile 2,5% del documento di riordino è dedicato al problema della sorte che si prospetta per gli insegnanti elementari in esubero.

Se il ciclo che oggi corrisponde alla scuola elementare si riduce di un anno su cinque i docenti dovrebbero eccedere del 20%, ma, d'altra parte, ai tassi attuali di pensionamento fisiologico (escludendo quindi l'anomalia dell'anno scolastico in corso, su cui tra l'altro appare al momento attuale probabile un intervento di blocco) in quattro-cinque anni circa il 15% dei docenti dovrebbe uscire dal sistema formativo. Come si vede il problema non è tale da meritare un'attenzione, che il documento non concede a problemi di ben altra rilevanza (ad esempio come dividere gli attuali insegnanti della scuola media inferiore, il 25% della categoria, tra scuola di base e scuola dell'orientamento). Il sospetto si fa strada: non sarà forse che in questa maxirivisitazione si cerchi da far scomparire il doppio ed il triplo maestro, la novità più importante della riforma del 1990, sottoposta anche a richiesta di abrogazione referendaria da parte del prolifico Pannella?

Altra assenza significativa e quella dell'Università. Una riforma complessiva della scuola fino ai 18 anni, che accorcia di un anno la durata complessiva della scuola e che ne rivede, riducendoli, gli standard formativi, non può non prevedere un cambiamento altrettanto radicale dell'insegnamento universitario. Il Ministro, per la prima volta dopo molti anni, assomma nel suo incarico la scuola, l'Università e la ricerca e per di più (questa non è una novità eclatante) dall'Università proviene. La dimenticanza non può essere casuale. La riforma nasce senza la sua necessaria conclusione, di cui, forse si occuperanno, nella loro autonomia è chiaro, le baronie universitarie, ovviamente mai morte.

Ma se la coda è avvolta nella nebbia, in compenso la testa resta un enigma. Il primo anno d'obbligo dovrà essere svolto presso la scuola materna, però questo ultimo anno di scuola dell'infanzia sarà l'unico, su 13 anni di scuola, a non essere messo in discussione. Funziona forse già benissimo? Dal documento non è dato saperlo. Sorge quindi spontanea la domanda: perché anticipare l'obbligo a cinque anni? O ciò risponde solo ad un'esigenza contabile che permette di anticipare la chiusura della scuola a 18 anni (per uniformità con i paesi europei si dice, anche se una buona metà di detti paesi chiude la scuola a 19 anni), allora si tratta proprio di una ben povera proposta. Oppure sotto si nasconde qualcosa di inquietante, che è bene far emergere.

Esemplifichiamo. L'ultimo anno di scuola materna diviene obbligatorio, ma lo Stato non è in grado, come non è, di assicurare le strutture necessarie in tutto il paese; ne discende, come corollario, che laddove lo Stato non è in grado di garantire un servizio che è divenuto obbligatorio per i bambini di cinque anni, dovrà giocoforza rivolgersi, pagandoli, a coloro che detto servizio possono assicurare: le scuole private in buona parte cattoliche. Un modo elegante per aggirare l'articolo 33 della Costituzione.

Se cima e fondo si muovono all'interno di contorni quanto meno indefiniti, i fianchi non stanno meglio. Dall'inizio alla fine il documento fa riferimento all'integrazione tra scuola e sistema regionale della Formazione Professionale (FP per gli amici). La FP dovrebbe affiancare e svolgere funzioni coordinate con la scuola sia nell'ambito del post-diploma (altro capitolo mancante), sia in quello della scuola secondaria, sia, infine, in quello della scuola dell'orientamento (cioè l'obbligo). Quindi anche all'interno dell'obbligo una parte del ciclo formativo potrebbe essere svolto nella FP (questo a detta del Ministro è un altro spiacevole refuso).

È appena il caso di dire che il sistema della FP non è sottoposto ad alcuna analisi, né, sfuggendo agli ambiti del Ministero, ad alcun processo riformatore. La FP regionale è un pozzo senza fondo di fondi, in gran parte della UE, la cui produttività è un eufemismo definire deludente. Per un centro FP decentemente funzionante, altri dieci sono o del tutto inutilmente attivi o addirittura sulla carta. Rari sono i casi, per altro lodevoli e da prendere per certi versi da esempio, di buon funzionamento. Spesso i corsi sono attivati senza alcuna ricerca dei bisogni occupazionali presenti, ma solo per far lavorare formatori esistenti, anche se su figure professionali obsolete.

Questo settore, spesso gestito in maniera puramente clientelare, al di fuori di ogni pubblico controllo, investito da alcuni scandali in anni recenti. diviene nel documento ministeriale parametro indiscusso del saper fare. E su questa asserzione discutibile, non comprovata, dimentica dei patrimoni di professionalità anche pratica e tecnologica esistenti nel settore dell'Istruzione Professionale, la FP entra a vele spiegate nel sistema formativo pubblico. Forse è bene ricordare che da trenta anni tutti i tentativi di riforma del ciclo secondario si sono incagliati proprio sul nodo dell'immenso patrimonio di competenze e strumentale presente nel settore dell'Istruzione Professionale, sulla sua gestione rivendicata dalle Regioni in base ad una loro interpretazione della Carta Costituzionale.

È lecito sospettare di trovarsi di fronte ad una svendita. A mo' di conclusione è bene sottolineare, che (ingresso o meno della FP nell'espletamento dell'obbligo) nella proposta ministeriale, nella caotica presentazione della scuola dell'orientamento, nella filosofia dell'assaggia e metti da parte che essa sottende, nello sperimentalismo senza luce orientante in essa prospettato, la conclusione pressoché certa è che i bambini saranno portati ad anticipare (anziché posticipare, come farebbe supporre l'elevamento di un anno dell'obbligo) la scelta del proprio futuro e che per lo meno dubbie e poco percorribile (se non per casi sporadici) appaiono le possibilità di un cambiamento di percorso una volto che esso sia iniziato.

La riforma della scuola (tutta nel suo complesso come il documento propone) è un'esigenza urgente e non rinviabile ulteriormente. Ma non è possibile accettare l'idea che qualsiasi riforma è meglio della mancata riforma, perché il nuovo non sempre rappresenta un progresso. Se questa riforma è di sinistra lo è solo perché il Ministro proviene da un partito che si autodefinisce democratico e di sinistra. Altro contenuto migliorativo, sotto l'etichetta, non è dato vederne. Ma siamo noi sempre i soliti che diciamo NO senza proporre alternative. Per queste ultime se il Ministro ci scrive o ci telefona saremmo lieti di fornirgli un'ampia bibliografia.

saverio craparo


Articolo da Alternativa Libertaria - maggio 1997