UNIVERSITÀ... O CARA!

 

Chi osserva l'Università italiana potrebbe pensare che nulla è cambiato da tempo tanto che lo stato giuridico dei docenti è ancora regolato dalla L. 28/80 e dal relativo DPR di attuazione n. 382/80. Ma questa impressione si ha solo se si usano come punto di osservazione lo stato giuridico e le modalità di reclutamento del personale docente e ricercatore.

I governi degli anni '90, incapaci di varare una organica politica di riforma hanno scelto una strategia di intervento strisciante che ha profondamente mutato le università italiane senza che la gran parte delle stesse persone che vi operano se ne accorgesse.

Gli studenti, ad esempio sanno solo che le loro tasse sono cresciute enormemente e che si tenta di introdurre il numero chiuso, ma non sanno che le tasse da esse versate coprono ormai almeno un quarto del bilancio complessivo di ogni Ateneo.

L'AUTONOMIA DEL SISTEMA UNIVERSITARIO

Con la scusa di dare attuazione alla Costituzione si è introdotta con la L.168/89 la cosiddetta autonomia universitaria. E' stata così avviata una fase "costituente" delle varie università che si sono dotati di propri Statuti e di propri Regolamenti contabili con una procedura apparentemente democratica - l'elezione di Senati accademici integrati dalla presenza, diseguale, di tutte le componenti dell'Università: professori ordinari, associati, ricercatori, personale tecnico-amministrativo e studenti.

Questo processo di riorganizzazione istituzionale è in parte ancora in atto tanto che in molti casi non sono stati redatti ed approvati i nuovi regolamenti dei servizi.

Questa attività avviene nell'ignoranza più assoluta soprattutto da parte degli studenti che hanno visto cambiare, senza rendersene conto gli stessi curricula di studio grazie ad una legge del 1991 che da facoltà ai vari atenei di differenziare almeno in parte l'offerta didattica.

Ma a produrre un mutamento sostanziale dell'assetto delle università italiane è stato l'art. 5 della Legge finanziaria del 1993 che ha introdotto la cosiddetta gestione budgetaria degli Atenei. In pratica ogni Ateneo diviene un'azienda con un proprio bilancio. Lo Stato vi contribuisce con uno stanziamento unico che viene ripartito tra le varie voci di spesa ad opera del Consiglio di Amministrazione, sentito il Senato accademico. Di queste somme fanno parte anche le spese per il personale sia docente che tecnico-amministrativo per cui è apparso difficile in un primo momento operare sulle spese fisse costituite da queste voci. Così le Università sono ricorse all'aumento delle tasse studentesche, vera ed unica variabile dei bilanci universitari.

Ci si potrebbe chiedere: ma se così è perché molti Atenei vogliono il numero chiuso ? Non certo per esigenze di bilancio ma per rispondere alle richieste degli ordini professionali che intendono limitare la concorrenza di neolaureati, come nel campo medico. Si noti che contrariamente a quanto si crede in Italia si laureano pochi medici rispetto al bisogno complessivo!

TRA AZIENDALIZZAZIONE E PRIVATIZZAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

Non si capiscono gli effetti della gestione per budget degli Atenei se non si tiene conto che appena due mesi dopo della introduzione del nuovo sistema di gestione è stato privatizzato il rapporto di lavoro nel pubblico impiego. Nelle università il cocktail tra la legge sull'autonomia, quella sul budget e la privatizzazione ha avuto effetti micidiali e profondi, ben più vasti che in qualsiasi altro settore del pubblico impiego.

Si è introdotta la divisione tra gestione dell'attività amministrativa affidata ai dirigenti e gestione della didattica della ricerca e delle scelte più generali relative all'attività dell'Università, che è rimasta ai docenti.

La capacità contrattuale del sindacato è stata fortemente ridimensionata e la situazione si è aggravata ulteriormente a causa di un Contratto Collettivo di Lavoro tra i più disastrosi del dopoguerra. Il potere dei dirigenti di procedere a ristrutturazioni selvagge è cresciuto, sono peggiorate le condizioni di lavoro, si è ristretta l'occupazione con un decadimento della qualità e quantità dei servizi.

E questo non è che l'inizio perché i processi di ristrutturazione in atto si caratterizzano per un aumento dei carichi di lavoro senza un contestuale aumento delle retribuzioni, per una riduzione dell'occupazione che non potrà che avere riflessi profondi sui servizi erogati.

LA POLITICA DI BERLINGUER UNIVERSITÀ'

Il governo Prodi ha fatto proprie le politiche dei precedenti governi ed anzi le ha accentuate, approfondendone se possibile gli effetti perversi.

Rispetto agli studenti, malgrado le premesse elettorali il Ministro ha continuato a sostenere l'introduzione del numero chiuso e l'aumento delle tasse. Il risultato sono le recenti elezioni studentesche che hanno visto una ulteriore riduzione della partecipazione al voto e le sinistre perdere roccaforti come Torino, Milano e Pisa. I soli successi si sono avuti in Atenei come a Firenze dove la critica e la lotta contro il Ministro è stata durissima.

Il personale tecnico-amministrativo è schiacciato tra l'applicazione di un contratto capestro e l'accentuazione della privatizzazione. Fortissima e crescente è la carenza di organico e quindi la caduta dell'occupazione. Gli spazi di contrattazione decentrata si riducono enormemente mentre il contratto nazionale si è impoverito di contenuti. Cresce il part-time indotto con nefaste conseguenze sui redditi dei lavoratori e sulla tenuta dei servizi.

I ricercatori, che costituiscono la fascia più bassa della docenza sono impegnati in un concorso nazionale dai tempi di durata incalcolabili mentre si prepara in parlamento l'approvazione di nuove procedure concorsuali che rendono la situazione se possibile ancora più tragica e grottesca. Una guerra senza quartiere viene condotta contro i lettori di lingua madre che insegnano le lingue in Università perché stranieri e non figli dell'accademia; si nega loro perfino l'evidenza: il fatto che insegnino!

I dottori di ricerca che dovrebbero essere il serbatoio per il rinnovo della docenza universitaria sono sempre più riservati a coloro che hanno di che mantenersi perché l'esiguità delle borse loro corrisposte non è sufficiente a soddisfare le esigenze di vita elementari.

Un fatto certo, il solo fatto certo è che entro il 2006 il 50% degli attuali docenti e ricercatori andrà in pensione o avrà cessato il servizio e questa percentuale salirà all' 85% entro il 2012. Calcolando che per formare un docente occorrono almeno 10 anni ben si comprende che i vuoti di organico nell'università pubblica non potranno essere colmati.

Ci sarà così spazio per le Università private, oggi pressoché assenti in Italia, riservate ovviamente ai più abbienti, con buona pace del sistema formativo pubblico. Già ora se ne avvertono i sintomi con il proliferare di iniziative nel settore. Ciò non toglie ovviamente che questi "imprenditori" chiederanno ed otterranno il finanziamento dello Stato, con buona pace del mercato, in nome di un neoliberismo all'italiana.

E le università pubbliche?

Oh quelle sono ponte ad entrare sul mercato. Potranno assumere professori a contratto e già oggi si prevedono contratti di diritto privato di durata quadriennale o al massimo di 8 anni, non rinnovabili nella stessa università. Si introduce così una sana mobilità senza diritti, con buona pace della libertà di insegnamento, garantita in passato proprio dall'inamovibilità del docente. Insomma dove non riuscì il fascismo con il giuramento di fedeltà al regime sta riuscendo il ministro ulivista!

E gli attuali docenti?

Rimasti pochi per selezione naturale potranno finalmente ripristinare le gerarchie di comando e i baronati.

In fondo l'università post settantottina aveva ricevuto un discreto scrollone. Per riassorbirlo ci sono voluti 30 anni ma ora, finalmente ...

REAGIRE AL DISASTRO

E' difficile contrastare le tendenze in atto, eppure va fatto.

Ancora una volta il primo passo è far capire a studenti e docenti e personale tecnico amministrativo il progetto nel suo complesso, costruire organismi unitari per contrastarlo, agire contemporaneamente sui curricula, sull'organizzazione della didattica e della ricerca.

C'è ancora chi crede nell'università pubblica e nella ricerca e l'alleanza va costruita con costoro anche per salvare saperi e filoni di ricerca che altrimenti andranno distrutti. L'alleanza va costruita con quella parte più sensibile del corpo docente che si sente minacciata, che vede scomparire interi settori di ricerca in nome della logica di mercato, degli investimenti edilizi, delle assunzioni clientelari.

E' questo solo il primo passo di una strategia più complessa che va costruita collettivamente con il dibattito e la riflessione, senza schematismi o pregiudizi. Uno dei valori in gioco e la cultura, intesa nella sua accezione più nobile e più vera.

gianni cimbalo


Articolo da Alternativa Libertaria - maggio 1997