Apocalittici o integrati

 

Ormai da tempo il fondamentalismo religioso, soprattutto islamico, sembra essere divenuto di gran lunga la base "ideologica" della ribellione dei paesi del terzo mondo verso il trionfo del liberismo e della globalizzazione dei mercati e delle economia.

Il fenomeno sembra essersi accentuato dopo la dissoluzione dei paesi di cosiddetta democrazia socialista, al punto da imporsi anche in alcune aree strategiche dell'Asia centrale, determinando sensibilmente gli equilibri politici e strategici di quelle aree.

L'integralismo religioso sembra anche essere alla base della guerra civile più sanguinosa che ha investito l'Europa in anni recenti: la dissoluzione della Repubblica Jugoslava. E' ancora l'integralismo che insanguina l'Algeria e la guerra di religione fa sentire i suoi effetti fino in Francia attraverso il terrorismo.

Viene perciò da chiedersi cosa generi il fondamentalismo religioso e ne determini la diffusione in un mondo che sembra invece richiedere la presenza a livello di massa di una larga presenza di persone scientificamente e tecnologicamente preparate, il cui addestramento e la cui organizzazione sociale presuppongono un alto grado di razionalizzazione, non solo a livello infrastrutturale ma anche di coscienze, producendo una secolarizzazione dell'ordine politico e sociale quale presupposto necessario dello sviluppo economico.

Più semplicemente può essere considerata vera l'equazione tra società impregnata di valori laici e sviluppo economico contrapposta ad un eguale rapporto-corrispondenza tra integralismo e sottosviluppo o arretratezza economica?

Non c'è alcun dubbio che il modo di produzione capitalistico ha portato con se il trionfo del razionalismo e l'abbandono di ideologie, anche di stampo confessionale, caratterizzate dall'imposizione di valori etici sulla politica; tuttavia non sempre che integralismo religioso e sviluppo economico si pongono in netta contrapposizione.

Certamente la globalizzazione dei mercati, il crescente potere economico e politico delle imprese e dei gruppi finanziari multinazionali sollecitano una reazione e inducono alla ricerca di identità. La crisi poi degli stati multietnici come l'URSS o la stessa Jugoslavia inducono alla ricerca di elementi di identità e tra queste quella religiosa è certamente una delle più forti per il suo radicamento nel territorio, nelle tradizioni, nei costumi, nella lingua, nella memoria collettiva, nel vissuto dei singoli. Non va dimenticato che le religioni basano il loro dominio sul fatto di tendere a governare i momenti cruciali della vita degli esseri umani: la nascita, la morte, il momento della riproduzione e quindi l'amore, la vita affettiva (il matrimonio, lo stare insieme attraverso la costruzione della microstruttura sociale più importante: la famiglia). La loro forza sociale è quindi immensa e difficilmente contrastabile.

Lo stato occidentale, sotto la spinta del mercantilismo prima, dell'industrializzazione e del capitalismo poi, ha sperimentato forme di giurisdizionalismo e quindi di controllo del fenomeno religioso, inducendo una evoluzione nelle stesse confessioni religiose fino al punto da rendere possibile l'affermazione dello Stato laico. Ma man mano che si indeboliva il ruolo dello stato nazione, o per effetto della mondializzazione dell'economia, o a causa della crisi delle ideologie con conseguente crollo dei regimi dell'Europa orientale si sono affermate esigenze di identità. La creazione poi di microsistemi economici, di aree di produzione particolarmente dinamiche operate da un capitalismo avventuriero e aggressivo ha fatto sorgere il problema delle strutture regionali e dei separatismi che per affermarsi richiedono con forza la ricerca di elementi coesivi e di identità.

Non vi è alcun dubbio che in una situazione così complessa può essere molto comodo trovare una ragione di identità in una comune appartenenza religiosa.

Una prima ragione dell'affermazione e della rinascita delle religioni, spesso nella loro versione fondamentalista, sta proprio nel fornire un utile elemento di identità a gruppi sociali e popolazioni che vedono nella separatezza e nella diversificazione dai vicini le ragioni della loro possibile prosperità economica. E' il caso del federalismo belga, del separatismo Jugoslavo, della ricerca di identità di numerose repubbliche un tempo appartenenti all'URSS, di qualcuno degli ex stati "socialisti".

Ma vi è un altro aspetto certamente rilevante del fondamentalismo religioso: l'opposizione al mutamento, al progresso, inteso nell'accezione occidentale del termine.

Ancora una volta lo sconvolgimento viene prodotto dalla globalizzazione dei mercati e dell'economia che richiede una profonda trasformazione di valori e l'abbandono di sicurezze sociali e valori di solidarietà, regole di convivenza civile affermatesi nei secoli.

Non vi è alcun dubbio che il fondamentalismo rappresenta un efficace strumento per contrastare tale fenomeno. Esso infatti sostiene che non è l'uomo a dover adattare le sue abitudini, le sue tradizioni, i suoi usi e valori al "progresso" ma è il mondo intero, la società nel suo complesso a doversi piegare alle esigenze immutabili, ai valori certi della religione. In una parola il fondamentalismo offre una risposta radicale alla secolarizzazione dei valori religiosi e della cultura che fino ad oggi sono state il tratto caratteristico del moderno sviluppo economico.

Anche se il fondamentalismo è un fenomeno interreligioso nel senso che è presente con forza crescente in tutte le religioni, in ragione della crescente pressione che viene esercitata per effetto della mondializzazione delle economie e dei mercati, quello che appare più virulento e gravido di conseguenze sembra essere agli occhi di un osservatore occidentale quello musulmano.

Le ragioni del fenomeno sono facilmente spiegabili. Quella musulmana è di gran lunga la religione che riscuote più vaste adesioni, è diffusa in un'area di forte instabilità politica dove sono concentrate la gran parte delle risorse in materie prime del pianeta. In quest'area l'aggressione imperialista delle multinazionali è certamente virulenta, la predazione delle risorse è costante e se possibile crescente.

In assenza di strategie politiche di riscatto sociale la conservazione dei valori religiosi, il permanere di un minimo di solidarietà sociale, la sopravvivenza di una aggregazione organizzata e di compagini statali sembra essere la sola risorsa possibile di quei popoli.

In questa situazione ai rivoluzionari non basta comprendere le cause profonde del fenomeno ma occorre aprire un dialogo per consentire il passaggio da una risposta negativa e sostanzialmente immobilista di ritorno o conservazione del passato ad una risposta positiva che vada verso lo sviluppo di una società nuova e di nuovi modelli produttivi e sociali. L'antimperialismo può essere il ponte tra l'integralismo e la rinascita di una sinistra necessaria per impedire che prevalga l'alleanza naturale tra conservazione religiosa e conservazione sociale e che si realizzano "accordi di gestione" tra imperialismo delle multinazionali, dei capitali finanziari, delle lobby religiose integraliste. In questo senso l'alleanza organica tra Arabia Saudita e mondo della finanza ed industriale è un esempio di una cointeressenza di interessi, di una simbiosi perfetta. Altri esempi vi sono e certamente l'alleanza di queste forze è destinata a crescere. Ma proprio per questo le forze della sinistra devono adottare una "politica di movimento". Accanto al dialogo sviluppato soprattutto attraverso gli immigrati dei quali non va negata l'appartenenza e i valori religiosi è però necessaria l'apertura di un grande dibattito per demistificare il ruolo della religione e delle interpretazioni integraliste che se ne danno riscoprendo la dimensione sociale e di libertà della lotta per l'emancipazione dallo sfruttamento.

Rimane certamente vero - al di la delle necessità della politica - che non vi è libertà dal bisogno senza liberazione delle coscienze dalla religione.

Gianni Cimbalo


Articolo da Alternativa Libertaria - febbraio 1997